Trieste:
“La città delle tante gentilezze”.
La nostra bella Trieste! L’ho spesso detto con rabbia ma stasera sento che è vero. Vorrei vedere le luci che luccicano lungo la riva quando il treno passa Miramar. In fondo, Nora, è la città che ci ha dato un rifugio. Ci sono tornato amareggiato e senza soldi dopo la mia follia romana e ci ritorno dopo quest’assenza.
[da: James Joyce. 1909. Lettera a Nora Barnacle, 7 settembre]
Dopo aver lasciato l’Irlanda nell’ottobre 1904 e aver soggiornato brevemente prima a Zurigo e poi a Pola, James Joyce e Nora si stabilirono definitivamente a Trieste nel marzo 1905, quando il direttore della Berlitz School riuscì a far trasferire lo scrittore nella loro sede triestina. Durante gli anni trascorsi nella città adriatica, Joyce concluse Gente di Dublino, si dedicò alla seconda stesura di Chamber Music, scrisse Giacomo Joyce e Esuli, riuscì a pubblicare Ritratto dell’artista da giovane, e iniziò a lavorare all’Ulisse e a Finnegans’ Wake. A Trieste nacquero anche i due figli di Joyce e Nora, Giorgio e Lucia, e lo scrittore stringerà alcuni dei legami di amicizia che lo accompagneranno poi per tutta la vita – si pensi, soprattutto, al suo legame con Italo Svevo.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Joyce, che possedeva un passaporto inglese, dovette scappare a Zurigo e lasciare, di conseguenza, la città che per lui era diventata sinonimo di rifugio. Vi tornerà nel 1918, ma affermerà di averla trovata piuttosto cambiata, lontana dall’immagine che l’aveva accompagnato in quel periodo di assenza; deciderà, quindi, di abbandonarla definitivamente, scegliendo di accettare l’invito di Ezra Pound a trasferirsi a Parigi.
I luoghi di Joyce.